DON
LORENZO MILANI
Biografia
Don Lorenzo nasce a Firenze il 27 maggio 1923 in una
colta famiglia borghese. E’ figlio di Albano Milani e di Alice Weiss,
quest’ultima di origine israelita.
Nel 1930 da Firenze la famiglia si trasferì a Milano
dove don Lorenzo fece gli studi fino alla maturità classica. Dall’estate del
1941 Lorenzo si dedicò alla pittura iscrivendosi dopo qualche mese di studio
privato all’Accademia di Brera.
Nell’ottobre del 1942, causa la guerra, la famiglia
Milani ritornò a Firenze. Sembra che anche l’interesse per la pittura sacra
abbia contribuito a far approfondire a Lorenzo la conoscenza del Vangelo.
In questo periodo incontro don Raffaello Bensi, un
autorevole sacerdote fiorentino che fu da allora fino alla morte il suo
direttore spirituale.
Nel novembre del 1943 entrò in Seminario Maggiore di
Firenze. Il 13 luglio 1947 fu ordinato prete e mandato in modo provvisorio a
Montespertoli ad aiutare per un breve periodo il proposto don Bonanni e poi,
nell’ottobre 1947 a San Donato di Calenzano (FI), cappellano del vecchio
proposto don Pugi.
A San Donato fondò una scuola popolare serale per i
giovani operai e contadini della sua parrocchia.
Il 14 novembre 1954 don Pugi moriva e don Lorenzo fu
nominato priore di Barbiana, una piccola parrocchia di montagna. Arrivò a
Barbiana il 7 dicembre 1954. Dopo pochi giorni cominciò a radunare i giovani
della nuova parrocchia in canonica con una scuola popolare simile a quella di
San Donato. Il pomeriggio faceva invece doposcuola a in canonica ai ragazzi
della scuola elementare statale.
Nel 1956 rinunciò alla scuola serale per i giovani del
popolo e organizzò per i primi sei ragazzi che avevano finito le elementari una
scuola di avviamento industriale.
Nel maggio del 1958 dette alle stampe Esperienze
pastorali iniziato otto anni prima a San Donato.
Nel dicembre dello stesso anno il libro fu ritirato
dal commercio per disposizione del Sant’Uffizio, perchè ritenuta “inopportuna”
la lettura.
Nel dicembre del 1960 fu colpito dai primi sintomi del
male (linfogranuloma) che sette anni dopo lo portò alla morte,
Il primo ottobre 1964 insieme a don Borghi scrisse una
lettera a tutti i sacerdoti della Diocesi di Firenze a seguito della rimozione
da parte del Cardinale Florit del Rettore del Seminario Mons. Bonanni.
Nel febbraio del 1965 scrisse una lettera aperta ad un
gruppo di cappellani militari toscani, che in un loro comunicato avevano
definito l’obiezione di coscienza “estranea al Comandamento cristiano
dell’amore e espressione di viltà”. La lettera fu incriminata e don Lorenzo
rinviato a giudizio per apologia di reato.
Al processo, che si svolse a Roma, non poté essere
presente a causa della sua grave malattia. Inviò allora ai giudici
un’autodifesa scritta. Il 15 febbraio 1966, il processo in prima istanza si
concluse con l’assoluzione, ma su ricorso del pubblico ministero, la Corte
d’Appello quando don Lorenzo era già morto modificava la sentenza di primo
grado e condannava lo scritto. Nel luglio 1966 insieme ai ragazzi della scuola
di Barbiana iniziò la stesura di Lettera a una professoressa.
Don Lorenzo moriva a Firenze il 26 giugno 1967 a 44
anni.
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Un
cammello è passato dalla cruna dell’ago
Barbiana
è una minuscola frazione di Vicchio, nel Mugello. Una chiesetta incastonata fra
una casa e un annesso rustico, un pergolato, qualche cipresso, i resti di una
minuscola piscina (l’oceano di Barbiana), un piccolo cimitero, non c’è altro.
Non negozi, né bar, né edicole, né piazze. I quattro chilometri di strada, in
salita per arrivarci a piedi, sono faticosi da fare con il caldo, ma la
corriera non può passare per una strada troppo stretta. Ho voluto ritornarci quest’anno per i 50 anni
della morte di Don Lorenzo Milani. Ci ha accolto Agostino Burberi, uno dei
primi sei ragazzi di Barbiana, come nel 2008 ci accolse Michele Gesualdi, anche
lui uno dei primi
Mi
è venuto in mente “Cristo si è fermato a Eboli” di Carlo Levi, esiliato in un
paesino isolato in Lucania, che nonostante la durezza del confino, l’autore
aveva imparato ad amare. A Barbiana Don Milani, anziché abbattersi per l’esilio,
crea una scuola alternativa, il cui sistema educativo basato sul possesso della
lingua, elemento fondamentale per rendere i ragazzi cittadini consapevoli
capaci di lottare contro le ingiustizie sociali.
Quando
don Lorenzo ci arrivò, nel 1954, in una giornata di pioggia, non c'era la
strada, non c'era la luce, non c'era l'acqua. Nella parrocchia, che doveva
essere chiusa, vivevano una manciata di famiglie sparse tra i monti. Egli
andò di famiglia in famiglia a convincere i genitori a mandare i loro figli,
spesso emarginati o bocciati dalla scuola tradizionale, oppure senza
possibilità di proseguire gli studi dopo le medie, a lezione da lui. Una scuola per gli ultimi, perché “ la scuola ha un problema solo: i ragazzi che
perde”, scriveva Don Milani, “quando
avete buttato nel mondo d’oggi un ragazzo senza istruzione, avete buttato in
cielo un passerotto senza ali”. I ragazzi alla scuola di Barbiana avevano
dai 6 ai 18 anni e i più grandi insegnavano ai più piccoli. Questo formava in
loro un senso di comunità, il collante sociale e il sostegno all’insegnamento
di don Milani. 365 giorni di scuola all’anno, 366 negli
anni bisestili, 12 ore al giorno, perché Don Milani aveva intuito che non si
poteva combattere la povertà materiale senza una formazione delle coscienze,
senza un’educazione alla ricerca. Le stanze della
parrocchia furono trasformate in scuola. Una porta dell’aula
conduce all’officina, dove ancora oggi vi sono, come allora, gli arnesi per
imparare una professione. Un sacerdote in una scuola laica, le lingue per
aprirsi al mondo. C’era un grammofono
che gracchiava per l’intero giorno in tedesco, perché don Milani voleva che
imparassero la pronuncia per conoscere le lingue. Mandava in suoi studenti
all’estero per conoscere le lingue. “Prima
l’italiano perché sennò non si riesce a imparare nemmeno le lingue straniere.
Poi più lingue possibili, perché al mondo non ci siamo soltanto noi”,
scrivevano gli studenti nella “Lettera a una professoressa”, un testo di denuncia delle disuguaglianze
scolastiche, che è stato molto popolare
durante contestazione studentesca del
1968.
A
Barbiana dove pure il priore era severo ed esigente, era sempre l’alunno che fa
più fatica a dettare il ritmo di marcia. Solo così la scuola diventa la base di una
società prosperosa che include e valorizza i più fragili, così come la tenuta
di un ponte dipende da tutti i piloni e non solo da pochi di loro. “Se si perde loro – scrive Don Milani
nella Lettera a una professoressa –“ la scuola non è più scuola. E’ un
ospedale che cura i sani e respinge i malati”. “Imparare a imparare”, perché
non si smetta mai di imparare e perché si deve avere il gusto di conoscere e di
essere curiosi.
Nell’aula
di studio, oltre alle carte geografiche realizzate a mano, i grafici che
sostituivano i libri, è ancora presente
un cartello: I CARE, è il motto
intraducibile dei giovani americani migliori, me ne importa, mi prendo cura, mi
sta a cuore. È il contrario esatto del motto fascista ME NE FREGO. L’amore di
Don Lorenzo Milani per i suoi ragazzi fu senza misura, tanto che arrivò a
scrivere nel suo testamento: ” ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho
speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto
al suo conto”.
Michele
Gesualdi nel suo libro Don Lorenzo Milani, l’esilio di Barbiana scrive: “chi non ha vissuto quegli anni di Barbiana,
non afferra come quel prete isolato in un paese poverissimo, sia riuscito a
parlare, con quella forza, al mondo intero.” E ancora: “Don Milani è un prete scomodo, ha una grande fame di verità e una
grande sete di giustizia. Spende il suo
sacerdozio per armare la povera gente di dignità e di parola perché si
ribellino contro le ingiustizie sociali che offendono l’umanità. La sua guida è
il Vangelo.” Don Milani aveva scelto da che parte stare, si era schierato
dalla parte dei poveri e degli emarginati.
Come
ha scritto don Luigi Ciotti nella postfazione
al libro “Don Lorenzo Milani-L’esilio di Barbiana”, di Michele Gesualdi: “Michele Gesualdi, alla fine del libro, mette
in guardia dal rischio di una memoria deferente, o peggio di
strumentalizzazione dell’eredità intellettuale di don Milani. Don Milani non va
celebrato, ma vissuto”. E riguardo
al famoso passo della Lettera ai cappellani militari, anticipatore
dell’obiezione di coscienza e della Dottrina Sociale della Chiesa, “dell’obbedienza
che non è più una virtù, non deve essere interpretato come un generico invito
alla ribellione, ma come un’esortazione a seguire la voce della propria
coscienza, che non è mai accomodante, che sempre ci chiama a quelle
responsabilità che proprio il conformismo e l’obbedienza acritica permettono di
eludere”.
La
Chiesa dei tempi di Don Milani non volle raccogliere la sua eredità, anzi lo
osteggiò in tutti i modi, mentre fu molto apprezzato fuori dalla Chiesa. Don
Milani non è stato un cattolico contestatore, come quelli degli anni Sessanta,
né un prete anarchico o comunista, semplicemente faceva scuola a sé. Egli si
era dimostrato profetico nel leggere le tendenze della storia, nel vedere con
chiarezza l’amplificazione dello squilibrio
tra i pochi borghesi ricchi, che usavano la lingua ufficiale italiana e i
poveri, in numero crescente, che non potevano capirla; tra il capitale con i
suoi giochi e chi da questi giochi è tagliato fuori. In Esperienze pastorali,
dove prende le distanze dal ruolo dei parroci, indicando lo studio e non lo
vago nell’intrattenimento dei giovani negli oratori, Don Milani avrebbe voluto una Chiesa che “avesse fame e sete di giustizia”.
Don
Milani aveva scritto più volte al suo vescovo: “se lei non mi onora oggi con un qualsiasi atto solenne, tutto il mio
apostolato apparirà come un fatto privato…”. A 50 anni dalla morte, il 20
giugno 2017, Papa Francesco ha voluto finalmente dare quella risposta,
riconoscendo in Don Milani la sua fedeltà al Vangelo e la rettitudine della sua
azione pastorale. Papa Francesco ha sottolineato l’attualità di Don Milani: “Questo vale a suo modo anche per i nostri
tempi, in cui solo possedere la parola può permettere di discernere tra i tanti
e spesso confusi messaggi che ci piovono addosso”. Il papa ha parlato
esplicitamente di “umanizzazione”, facendo
riferimento ad un concetto milaniano: “la
parola ai poveri non per farli diventare più ricchi, ma per farli diventare più
uomini”. Non per caso c’è più di Esperienze pastorali, sotteso al discorso
di Don Milani a Barbiana, di quanto non ci sia in Lettera ad una professoressa.
Dopo
50 anni Papa Francesco fa della pietra di scarto, la pietra d’angolo,
indicandolo ai sacerdoti come esempio: “Prendete
la fiaccola e portatela avanti”.
Leopoldo Marcolongo