martedì 30 marzo 2010

«Vorrei essere leghista, ma...» di Sergio Frigo

Giovedì 4 Marzo 2010, Gazzettino, pag, 5

http://www.ilgazzettino.it/articolo.php?id=93899&sez=REGIONI



C’è una piccola frase buttata lì qualche anno fa da un mio vecchio zio socialista, poi diventato leghista, all’origine del mio libro "Caro Zaia vorrei essere leghista ma proprio non ci riesco": “Noialtri simo poareti. No gavimo miga studià come ti!” É una frase che spiega bene, come ho scoperto molto dopo, perché la sinistra, soprattutto nelle nostre regioni, perde sistematicamente le elezioni, e perché - specularmente - le vince un partito come la Lega, dai tratti marcatamente popolani e anti-intellettuali: quelle parole segnalavano, infatti, un inedito scollamento sociale e culturale, destinato a diventare ben presto politico, fra "noi" - giovani studenti destinati a diventare ceto medio istruito e progressista - e “loro”, i nostri zii, cugini, vicini di casa, che erano rimasti “poareti". Uno scollamento che si è approfondito in anni più recenti con l’arrivo massiccio degli immigrati, che noi ceti medi abbiamo accolto con benevolenza, mentre "loro", i ceti deboli, li subivano come sgraditi concorrenti sul terreno del lavoro, della casa e del welfare. Nulla di strano se si sono sentiti traditi da noi, sposando invece le parole d’ordine di chi - la Lega - diceva loro che avevano ragione a temere i nuovi arrivati, e diritto di difendere i propri interessi e i propri valori dalle culture estranee alla nostra.
È da questo punto che prendono le mosse le riflessioni contenute nel libro, articolate sull’espediente retorico di una lettera aperta a Luca Zaia. Dialogando virtualmente con lui, in realtà ho cercato di analizzare anche i tanti vizi del variegato e disperso pianeta progressista, convincendomi però che essi non bastano a spiegare le ragioni di una sconfitta storica: ragioni che risiedono nel fatto che la sinistra in questi anni segnati dalla globalizzazione, dalle migrazioni e dalla crisi economica si è trovata di fronte all’amaro destino di dover scegliere fra tradire se stessa o tradire i propri elettori, tra la coerenza agli ideali (la solidarietà con gli ultimi, il terzomondismo) e la ricerca del consenso: e qui è ancora bloccata.
Sergio Frigo

In un libro-lettera a Zaia, Sergio Frigo s’interroga sui trionfi del Carroccio a Nordest
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Giovedì 4 Marzo 2010,
UN SOGNO PER IL FUTURO

Coloro che si candidano a rappresentarci, infine, devono sapere che noi «popolo di sinistra» ci siamo ancora, nonostante le troppe frustrazioni che essi ci hanno inflitto, anche se siamo sempre più stanchi e sfiduciati: dai nostri leader ci aspettiamo dunque che sappiano comprendere il nostro scoramento ma anche che ci trasmettano la sicurezza che ce la faremo a tirarcene fuori, utilizzando l’intelligenza, la generosità, la fantasia e magari anche una sana ironia che costituiscono le nostre principali risorse.
Certo, bisogna essere consapevoli che nelle situazioni di crisi e di incertezza come quella che stiamo attraversando è naturale che prevalgano nell’uomo gli istinti elementari della chiusura nel presente, della salvaguardia del proprio status messi in pericolo dall’irruzione dello straniero e dell’autodifesa identitaria e di clan, che solitamente vengono sublimati (o repressi) nei momenti più felici. Ed è altrettanto naturale che siamo molto più popolari, fra gli elettori, coloro che dicono loro che hanno ragione a volersi tenere stretto il po’ di benessere appena acquisito, rispetto a noi, che invece li invitiamo a condividere quel poco con chi ha meno, e a pensare anche alle generazioni future. «Nell’attuale dura realtà non c’è più la possibilità di sognare un mondo migliore», si addolora un leghista illuminato come Giuseppe Covre, rievocando la sua antica militanza a sinistra e le sue utopie giovanili. Ecco, possiamo dire che i leghisti sono coloro che, dopo aver rinunciato al sogno generoso di migliorare il modo, si accontentano ora dell’obiettivo modesto anche se molto concreto di proteggere la propria famiglia e mantenere in ordine il proprio paese.
A noi spetta invece la scomoda ma ineludibile responsabilità di continuare a coltivare pulsioni elementari del nostro interesse diretto personale e immediato, e il colpito altrettanto arduo di guardare oltre le contraddizioni del reale e del presente per continuare a coltivare progetti anche per la collettività e per il futuro. Magari questo ci esporrà alle accuse di velleitarismo, precludendoci il facile consenso nell’immediato e assicurandoci sonore sconfitte. Ma qualcuno dovrà pur continuare, anche in questo cupo presente, a coltivare il sogno di una società di cui essere un po’ più fieri negli anni a venire.

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