sabato 8 maggio 2010
Rifugiati, l’esilio al termine della notte di Laura Boldrini
in “Avvenire” del 6 maggio 2010
Delle tante storie di donne e uomini che ho conosciuto e ascoltato negli anni di lavoro come portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) pochissime sono quelle prive di sofferenza, e quasi mai la condizione di persona in fuga si è risolta senza traumi: la maggior parte è passata attraverso un vero calvario di dolore e solitudine. Ma le storie che mi sono rimaste impresse non sono necessariamente le più crudeli. Ci sono situazioni in cui la disperazione
dell’altro è travolgente e per chi ascolta è impossibile arginarla. Così si incamera un malessere che può trovare conforto solo in un’azione concreta che sia di aiuto per quelle persone, che riesca a infondere loro un po’ di speranza per il futuro. Non ci si può abituare al dolore dell’umanità.
Se torno indietro negli anni, il mio ricordo va in Afghanistan, uno dei luoghi più spettacolari del pianeta. Qui si avverte spesso un intollerabile stridore tra la bellezza della natura e le storie di orrore raccontate da donne annientate dalla violenza. Le bianche e immacolate vette dell’Hindukush, da una parte, e gli efferati crimini contro intere generazioni di donne e di bambine, tanto silenziose quanto invisibili, dall’altra. Nei Balcani, invece, mi è rimasta impressa in modo indelebile
l’immagine degli anziani cacciati dai nosocomi in Kosovo e trasportati, dai parenti, in carrette lungo impervi sentieri di montagna, sotto una pioggia incessante. Dolore e silenzio. Sguardi atterriti di vecchi che avrebbero preferito morire anziché dover vivere quello strazio.
E ancora, prigionieri scheletrici rilasciati a un posto di frontiera dopo essere stati usati come scudi umani a protezione delle postazioni militari nemiche. Così come è difficile dimenticare le colonne di donne e bambini eritrei, avvolti nel vento di sabbia che oscura il cielo, arrivare sfiniti dalla sete nel primo campo di Kassala, appena dopo il confine sudanese. Ore di marcia sotto un sole implacabile e una temperatura che tocca i cinquanta gradi. E dopo qualche anno, altri racconti di
rifugiati, questa volta in Italia, mi hanno portato a conoscere l’ultima frontiera della disperazione.Una vera e propria roulette russa gestita dai trafficanti, i veri signori della guerra che si combatte nel Mediterraneo. Essere costretti a partire su un gommone sgangherato o una barchetta in vetroresina per attraversare le 160 miglia che separano la Libia da Lampedusa, equivale ad accettare, a caro prezzo, una scommessa sulla propria pelle. Quando non si hanno i documenti, né un visto
d’ingresso in un Paese sicuro non si ha nemmeno scelta.
Una delle convinzioni più consolidate e diffuse nel Paese è che la gran parte degli immigrati e dei rifugiati venga in Italia. Ugualmente si ritiene che l’Italia sia lasciata sola dall’Europa e che sia l’unico Paese a farsi carico di questa vera e propria invasione. Ogni volta che devo trattare questo tema comincio elencando alcuni dati, per rimettere le cose in ordine. E aggiungo che l’Italia non è
invasa da immigrati né tantomeno da rifugiati. Poiché è un’affermazione che smonta un pregiudizio non piace neanche quando sono le cifre a provarlo. Non piace perché contraddice ciò che si legge sui giornali o quello che si dice in tv.
Prima di passare a una comparazione in ambito europeo, è importante sottolineare un altro concetto,fondamentale per sfatare il mito che l’intero eldorado Europa sia soggetto a invasione, ricordando che ben l’80 per cento dei rifugiati si trova nei Paesi in via di sviluppo. Tra Siria e Giordania vivono circa 2 milioni di iracheni. Tra Pakistan e Iran si dividono circa 3 milioni di afgani. Nei 27 Paesi dell’Unione Europea vi sono 1,5 milioni di rifugiati. I dati sono eloquenti e non parlano di assedio,eppure molte persone oppongono resistenza a valutarli lucidamente. Nei Paesi europei la distribuzione dei rifugiati non è certo omogenea. Si passa dai 600 mila nella sola Germania ai 300 mila nel Regno Unito all’Italia dove si stima vi siano circa 47 mila rifugiati, pari a 0,7 rifugiati ogni 1000 residenti. Se in Italia siamo invasi, che dovrebbero dire in Svezia dove vi sono 7 rifugiati ogni 1000 abitanti?
Per capire come mai vi siano rifugiati che si dirigono verso l’Italia bisogna rivolgere l’attenzione ai focolai di instabilità e di tensione in Paesi geograficamente o storicamente legati a quello di destinazione. Nel mondo globalizzato nessuno può sottrarsi alla concatenazione degli eventi, e anche ciò che accade lontano da noi finisce comunque per riguardarci. Alla fine degli anni
Novanta in Kosovo la maggioranza albanese scappava dalla pulizia etnica e migliaia di persone arrivavano attraverso il Montenegro e l’Albania sulle coste pugliesi e calabresi. Non c’è quindi da meravigliarsi se più recentemente sulle coste siciliane sono arrivati somali, eritrei, afgani e iracheni.
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