giovedì 21 dicembre 2017


DON  LORENZO  MILANI

Biografia

Don Lorenzo nasce a Firenze il 27 maggio 1923 in una colta famiglia borghese. E’ figlio di Albano Milani e di Alice Weiss, quest’ultima di origine israelita.

Nel 1930 da Firenze la famiglia si trasferì a Milano dove don Lorenzo fece gli studi fino alla maturità classica. Dall’estate del 1941 Lorenzo si dedicò alla pittura iscrivendosi dopo qualche mese di studio privato all’Accademia di Brera.

Nell’ottobre del 1942, causa la guerra, la famiglia Milani ritornò a Firenze. Sembra che anche l’interesse per la pittura sacra abbia contribuito a far approfondire a Lorenzo la conoscenza del Vangelo.

In questo periodo incontro don Raffaello Bensi, un autorevole sacerdote fiorentino che fu da allora fino alla morte il suo direttore spirituale.

Nel novembre del 1943 entrò in Seminario Maggiore di Firenze. Il 13 luglio 1947 fu ordinato prete e mandato in modo provvisorio a Montespertoli ad aiutare per un breve periodo il proposto don Bonanni e poi, nell’ottobre 1947 a San Donato di Calenzano (FI), cappellano del vecchio proposto don Pugi.

A San Donato fondò una scuola popolare serale per i giovani operai e contadini della sua parrocchia.

Il 14 novembre 1954 don Pugi moriva e don Lorenzo fu nominato priore di Barbiana, una piccola parrocchia di montagna. Arrivò a Barbiana il 7 dicembre 1954. Dopo pochi giorni cominciò a radunare i giovani della nuova parrocchia in canonica con una scuola popolare simile a quella di San Donato. Il pomeriggio faceva invece doposcuola a in canonica ai ragazzi della scuola elementare statale.

Nel 1956 rinunciò alla scuola serale per i giovani del popolo e organizzò per i primi sei ragazzi che avevano finito le elementari una scuola di avviamento industriale.

Nel maggio del 1958 dette alle stampe Esperienze pastorali iniziato otto anni prima a San Donato.

Nel dicembre dello stesso anno il libro fu ritirato dal commercio per disposizione del Sant’Uffizio, perchè ritenuta “inopportuna” la lettura.

Nel dicembre del 1960 fu colpito dai primi sintomi del male (linfogranuloma) che sette anni dopo lo portò alla morte,

Il primo ottobre 1964 insieme a don Borghi scrisse una lettera a tutti i sacerdoti della Diocesi di Firenze a seguito della rimozione da parte del Cardinale Florit del Rettore del Seminario Mons. Bonanni.

Nel febbraio del 1965 scrisse una lettera aperta ad un gruppo di cappellani militari toscani, che in un loro comunicato avevano definito l’obiezione di coscienza “estranea al Comandamento cristiano dell’amore e espressione di viltà”. La lettera fu incriminata e don Lorenzo rinviato a giudizio per apologia di reato.

Al processo, che si svolse a Roma, non poté essere presente a causa della sua grave malattia. Inviò allora ai giudici un’autodifesa scritta. Il 15 febbraio 1966, il processo in prima istanza si concluse con l’assoluzione, ma su ricorso del pubblico ministero, la Corte d’Appello quando don Lorenzo era già morto modificava la sentenza di primo grado e condannava lo scritto. Nel luglio 1966 insieme ai ragazzi della scuola di Barbiana iniziò la stesura di Lettera a una professoressa.

Don Lorenzo moriva a Firenze il 26 giugno 1967 a 44 anni.

 

 

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Un cammello è passato dalla cruna dell’ago

 

Barbiana è una minuscola frazione di Vicchio, nel Mugello. Una chiesetta incastonata fra una casa e un annesso rustico, un pergolato, qualche cipresso, i resti di una minuscola piscina (l’oceano di Barbiana), un piccolo cimitero, non c’è altro. Non negozi, né bar, né edicole, né piazze. I quattro chilometri di strada, in salita per arrivarci a piedi, sono faticosi da fare con il caldo, ma la corriera non può passare per una strada troppo stretta.  Ho voluto ritornarci quest’anno per i 50 anni della morte di Don Lorenzo Milani. Ci ha accolto Agostino Burberi, uno dei primi sei ragazzi di Barbiana, come nel 2008 ci accolse Michele Gesualdi, anche lui uno dei primi

Mi è venuto in mente “Cristo si è fermato a Eboli” di Carlo Levi, esiliato in un paesino isolato in Lucania, che nonostante la durezza del confino, l’autore aveva imparato ad amare. A Barbiana Don Milani, anziché abbattersi per l’esilio, crea una scuola alternativa, il cui sistema educativo basato sul possesso della lingua, elemento fondamentale per rendere i ragazzi cittadini consapevoli capaci di lottare contro le ingiustizie sociali.

Quando don Lorenzo ci arrivò, nel 1954, in una giornata di pioggia, non c'era la strada, non c'era la luce, non c'era l'acqua. Nella parrocchia, che doveva essere chiusa, vivevano una manciata di famiglie sparse tra i monti. Egli andò di famiglia in famiglia a convincere i genitori a mandare i loro figli, spesso emarginati o bocciati dalla scuola tradizionale, oppure senza possibilità di proseguire gli studi dopo le medie, a lezione da lui.  Una scuola per gli ultimi, perché “ la scuola ha un problema solo: i ragazzi che perde”, scriveva Don Milani, “quando avete buttato nel mondo d’oggi un ragazzo senza istruzione, avete buttato in cielo un passerotto senza ali”. I ragazzi alla scuola di Barbiana avevano dai 6 ai 18 anni e i più grandi insegnavano ai più piccoli. Questo formava in loro un senso di comunità, il collante sociale e il sostegno all’insegnamento di don Milani. 365 giorni di scuola all’anno, 366 negli anni bisestili, 12 ore al giorno, perché Don Milani aveva intuito che non si poteva combattere la povertà materiale senza una formazione delle coscienze, senza un’educazione alla ricerca. Le stanze della parrocchia furono trasformate in scuola. Una porta dell’aula conduce all’officina, dove ancora oggi vi sono, come allora, gli arnesi per imparare una professione. Un sacerdote in una scuola laica, le lingue per aprirsi al mondo.  C’era un grammofono che gracchiava per l’intero giorno in tedesco, perché don Milani voleva che imparassero la pronuncia per conoscere le lingue. Mandava in suoi studenti all’estero per conoscere le lingue. “Prima l’italiano perché sennò non si riesce a imparare nemmeno le lingue straniere. Poi più lingue possibili, perché al mondo non ci siamo soltanto noi”, scrivevano gli studenti nella “Lettera a una professoressa”,  un testo di denuncia delle disuguaglianze scolastiche,  che è stato molto popolare durante contestazione  studentesca del 1968.

A Barbiana dove pure il priore era severo ed esigente, era sempre l’alunno che fa più fatica a dettare il ritmo di marcia.  Solo così la scuola diventa la base di una società prosperosa che include e valorizza i più fragili, così come la tenuta di un ponte dipende da tutti i piloni e non solo da pochi di loro. “Se si perde loro – scrive Don Milani nella Lettera a una professoressa  –“ la scuola non è più scuola. E’ un ospedale che cura i sani e respinge i malati”. “Imparare a imparare”, perché non si smetta mai di imparare e perché si deve avere il gusto di conoscere e di essere curiosi.

Nell’aula di studio, oltre alle carte geografiche realizzate a mano, i grafici che sostituivano i libri,  è ancora presente un cartello: I CARE, è il motto intraducibile dei giovani americani migliori, me ne importa, mi prendo cura, mi sta a cuore. È il contrario esatto del motto fascista ME NE FREGO. L’amore di Don Lorenzo Milani per i suoi ragazzi fu senza misura, tanto che arrivò a scrivere  nel suo testamento: ” ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto al suo conto”.

Michele Gesualdi nel suo libro Don Lorenzo Milani, l’esilio di Barbiana scrive: “chi non ha vissuto quegli anni di Barbiana, non afferra come quel prete isolato in un paese poverissimo, sia riuscito a parlare, con quella forza, al mondo intero.” E ancora: “Don Milani è un prete scomodo, ha una grande fame di verità e una grande sete di giustizia.  Spende il suo sacerdozio per armare la povera gente di dignità e di parola perché si ribellino contro le ingiustizie sociali che offendono l’umanità. La sua guida è il Vangelo.” Don Milani aveva scelto da che parte stare, si era schierato dalla parte dei poveri e degli emarginati.

Come ha scritto don Luigi Ciotti  nella postfazione al libro “Don Lorenzo Milani-L’esilio di Barbiana”, di Michele Gesualdi: “Michele Gesualdi, alla fine del libro, mette in guardia dal rischio di una memoria deferente, o peggio di strumentalizzazione dell’eredità intellettuale di don Milani. Don Milani non va celebrato, ma vissuto”.  E riguardo al famoso passo della Lettera ai cappellani militari, anticipatore dell’obiezione di coscienza e della Dottrina Sociale della Chiesa,  dell’obbedienza che non è più una virtù, non deve essere interpretato come un generico invito alla ribellione, ma come un’esortazione a seguire la voce della propria coscienza, che non è mai accomodante, che sempre ci chiama a quelle responsabilità che proprio il conformismo e l’obbedienza acritica permettono di eludere”.  

La Chiesa dei tempi di Don Milani non volle raccogliere la sua eredità, anzi lo osteggiò in tutti i modi, mentre fu molto apprezzato fuori dalla Chiesa. Don Milani non è stato un cattolico contestatore, come quelli degli anni Sessanta, né un prete anarchico o comunista, semplicemente faceva scuola a sé. Egli si era dimostrato profetico nel leggere le tendenze della storia, nel vedere con chiarezza l’amplificazione dello squilibrio  tra i pochi borghesi ricchi, che usavano la lingua ufficiale italiana e i poveri, in numero crescente, che non potevano capirla; tra il capitale con i suoi giochi e chi da questi giochi è tagliato fuori. In Esperienze pastorali, dove prende le distanze dal ruolo dei parroci, indicando lo studio e non lo vago nell’intrattenimento dei giovani negli oratori, Don Milani avrebbe voluto una Chiesa che “avesse fame e sete di giustizia”.

Don Milani aveva scritto più volte al suo vescovo: “se lei non mi onora oggi con un qualsiasi atto solenne, tutto il mio apostolato apparirà come un fatto privato…”. A 50 anni dalla morte, il 20 giugno 2017, Papa Francesco ha voluto finalmente dare quella risposta, riconoscendo in Don Milani la sua fedeltà al Vangelo e la rettitudine della sua azione pastorale. Papa Francesco ha sottolineato l’attualità di Don Milani: “Questo vale a suo modo anche per i nostri tempi, in cui solo possedere la parola può permettere di discernere tra i tanti e spesso confusi messaggi che ci piovono addosso”. Il papa ha parlato esplicitamente di “umanizzazione”, facendo riferimento ad un concetto milaniano: “la parola ai poveri non per farli diventare più ricchi, ma per farli diventare più uomini”. Non per caso c’è più di Esperienze pastorali, sotteso al discorso di Don Milani a Barbiana, di quanto non ci sia in Lettera ad una professoressa.



Dopo 50 anni Papa Francesco fa della pietra di scarto, la pietra d’angolo, indicandolo ai sacerdoti come esempio: “Prendete la fiaccola e portatela avanti”.

                                                                                                                       

                                                                                                                          Leopoldo Marcolongo

 

Transumanza, una tradizione millenaria ma sempre attuale


Transumanza, una tradizione millenaria ma sempre attuale

 
Pastori, pecore, gregge, agnelli. Parole che ci accompagnano da quando, da piccoli, fare il presepe era una festa. Con grande impegno collocavamo la grotta, Gesù bambino, Giuseppe e Maria, il bue e l’asino, i tre Re Magi e, attorno, case, mulini, lavandaie, fabbri, arrotini, viandanti. Ma erano i pastori e le pecore che, più di tutto, ci richiamavano il paesaggio del tempo della nascita del bambinello, perché i pastori, che dormivano sotto le stelle, erano stati i primi a rendere omaggio a Gesù.

A scuola poi abbiamo imparato il “Canto notturno di un pastore errante nell’Asia” di Leopardi:
La vita del pastore.
Sorge in sul primo albore
Move la greggia oltre pel campo, e vede
Greggi, fontane ed erbe;
Poi stanco si riposa in su la sera:
Altro mai non ispera.
Dimmi, o luna: a che vale
Al pastor la sua vita,
La vostra vita a voi? dimmi: ove tende
Questo vagar mio breve,
Il tuo corso immortale?


 

           Gregge a San Giorgio in Bosco durante l'ecclissi di sole del 20 marzo 2015

Negli ultimi cinquant’anni l’economia ha fatto progressi che mai c’erano stati nella storia. Il “progresso”, ha cambiato i nostri stili di vita e i pastori sono stati relegati ad una cultura romantica, antica, non più di moda. Le opere di trasformazione dell’ambiente naturale operato dall’uomo per migliorare la qualità della vita, costruzioni, strade, zone industriali, hanno reso sempre più difficile la transumanza. Molti sindaci poi hanno imposto divieti assurdi al transito e al pascolo delle greggi, con multe salate e imposto comunicazioni preventive suoi percorsi e sulle autorizzazioni dei proprietari dove si svolge il pascolo vagante. La transumanza invece, pur seguendo percorsi prefissati, può variare a seconda delle condizioni del tempo, dei raccolti dei campi, delle autorizzazioni dei proprietari dei fondi e degli imprevisti. Il codice della strada poi pretende che i greggi transitino a gruppi di 50 pecore, scortate, davanti e dietro, da guardiani, come fosse possibile dividere a gruppi un gregge di mille pecore.

Sono passati i tempi della città di Padova che si arricchiva con il commercio della  lana, del “pensionatico”, cioè del  diritto di pascolo su fondi pubblici o privati, dietro corrispettivo di un canone. In ogni comune c’erano le “poste”, dove potevano fermarsi i greggi. Le “poste”, istituto di uso civico, sono tutt’ora operanti, in quanto diritto imprescrittibile ed inalienabile.
Sono passati i tempi di quando le nostre nonne filavano e facevano i calzini con la lana di pecora. Ora le pecore vengono tosate, una o due volte l’anno, ma la lana, ora considerata  rifiuto speciale, serve solo per fare intercapedini per l’edilizia.

Nonostante i problemi attuali, la transumanza segue schemi millenari: sei mesi sui pascoli di montagna e sei mesi in pianura. Si lavora 365 giorni all’anno, Natale e Pasqua compresi, con il sole, la pioggia o la neve. Uno stile di vita lontano dalla modernità, continuando il cammino intrapreso dai padri. E’ un inno alla vita, a contatto con la natura e i valori della tradizione. Si segue il sole, sveglia all’alba e riposo al calare del sole, perché le pecore hanno bisogno di una sola cosa: brucare erba. Erba verde d’estate e erba morta d’inverno.
 
La parte più bella dei pastori è il pascolo in montagna, fra i 1500 e 2000 metri, dove le greggi si muovono su grandi spazi in una natura incontaminata, in estate e all’inizio dell’autunno, lontano dalla confusione. Il pascolo è verde e abbondante e i pastori tirano un po’ il fiato dopo la fatica della transumanza in pianura. Il pericolo maggiore in montagna, a parte i dirupi e qualche sentiero scosceso, è la presenza dei lupi che hanno fatto la loro comparsa uccidendo parecchie pecore.
In novembre, con le prime nevi, i pastori iniziano la discesa verso la pianura. Il lungo serpentone bianco di pecore è tutto un belare, uno scampanellio, un abbaiare di cani, un ragliare di muli.

 
Chilometri e chilometri  a piedi guidando il gregge, facendo attenzione a non bloccare le strade, a non lasciare indietro animali per strada, cercando ogni giorno un posto dove far pascolare il gregge e farlo sostare di notte. Una volta arrivati, bisogna ritornare alla fermata precedente per riportare il fuoristrada che accompagna il pastore. Il fuoristrada, in pianura, ha sostituito i muli nel trasporto degli agnellini appena nati ed è la casa del pastore. Qualche volta trascina una roulotte che rende più confortevole la vita del pastore con il freddo invernale e le piogge.  In montagna invece sono indispensabili i muli per il trasporto.

I greggi, a volte, passano di notte i centri urbani che non è possibile evitare con strade alternative, facendo attenzione, specie con la nebbia,  a non essere investiti da auto spericolate. Spesso gli automobilisti si infastidiscono per il ritardo nell’andare al lavoro, qualcuno protesta perché la strada è stata sporcata, altri perché le pecore puzzano o perché portano le zecche. La transumanza non è mai stata semplice ed è sempre stata circondata da pregiudizi. Molti pastori hanno aiutanti stranieri e anche questo aumenta la diffidenza.

La transumanza in pianura richiede una sorveglianza assidua a causa degli spostamenti quasi giornalieri. Bisogna tenere lontane le pecore dai campi coltivati a frumento e erba medica, dagli orti e dai giardini delle famiglie. Le pecore si muovono continuamente, a causa della scarsità dell’erba e i cani da pastore vanno sempre avanti e indietro per contenere il gregge. A mezzogiorno e alla sera poi bisogna mettere le reti per fermare il gregge e prendere dal fuoristrada gli agnellini piccoli per darli ad allattare dalle rispettive madri. Per facilitare la ricerca della madre, pecora e agnellino vengono segnati sul dorso con dei numeri.    

 Fra i circa 60 pastori che scendono dal Trentino e dal Veneto con oltre 55 mila pecore e quasi 17 mila capre , seguendo l’andamento dei fiumi, si possono trovare, da qualche anno, pastori molto giovani. Ragazzi e ragazze sui 20 anni, con lo smartphone,  che dopo aver frequentato l’Istituto Agrario, hanno intrapreso il lavoro di pastore. Spesso hanno la fidanzata e qualcuno si è anche sposato di recente ed ha avuto un figlio. E’ un segnale incoraggiante che ci fa sperare che la tradizione della transumanza, al di là delle diffidenze, continui a portarci ancora i rumori e gli odori di uno dei più antichi, ma sempre attuale, mestiere del mondo.

San Giorgio in Bosco, 15 gennaio 2017

lunedì 30 gennaio 2017

BAMBINI PROFUGHI – UNA TRAGEDIA SENZA LIMITI


Nel 2015 sono arrivati sulle nostre coste 12.360 i minori non accompagnati.[1]

Emergenza migranti in Slovenia
Negli ultimi anni e a partire dalle crisi mediorientali e nordafricane del 2011 il consistente flusso di arrivi non programmati via mare ha accresciuto il numero di bambini e giovani migranti che hanno affrontato il viaggio con i genitori o da soli. In particolare, secondo i dati diffusi dall’Alto Commissariato Onu per i rifugiati, su 154mila migranti sbarcati sulle nostre coste nel 2015 oltre 16mila erano minori, e di questi ben 12.360 risultavano non accompagnati, pari all’8% del totale degli arrivi. Sono soprattutto eritrei, egiziani, gambiani e somali i giovanissimi che hanno attraversato soli il Mediterraneo per giungere in Italia. Anche nel 2014 (l’anno record per gli sbarchi in Italia) gli arrivi di minori non accompagnati è stato rilevante (13mila) e ha eguagliato quello relativo alla componente dei minori giunti al seguito di genitori o parenti (13.096), che provenivano in particolare da Siria, Afghanistan, Palestina. A seguito del cambio di rotta migratoria verso la Grecia intrapresa dai migranti originari di tali paesi a partire dall’estate nel 2015, l’arrivo di minori in nuclei famigliari in Italia è nettamente diminuita (4mila).

Al 31 dicembre 2015, secondo i dati censiti dal Ministero del Lavoro, i minori non accompagnati presenti in Italia sono 11.921( 13,1% in più rispetto al 2014). I dati del Ministero del Lavoro evidenziano una importante crescita dei minori non accompagnati negli ultimi anni: L’Egitto continua a essere il Paese da cui proviene la maggior parte dei minori presenti (23%), seguito da Albania (12%), Eritrea e Gambia (10% entrambi). Rispetto all’età dei minori accolti, in assoluta prevalenza di genere maschile, l’81% ha tra i 16 e i 17 anni; in particolare questi ultimi, giovani quasi-adulti che presentano specifiche esigenze, sono oltre 6.432. Il numero dei minori non accompagnati ospitati nelle diverse regioni italiane vede prevalere le zone interessate dagli sbarchi: poco più di un terzo dei minori, infatti, è ospitato in Sicilia, seguono Calabria e Puglia con oltre 1.100 presenti ciascuna.  Per il quadro normativo più aggiornato e le statistiche più recenti si veda il Report di Monitoraggio “I minori stranieri non accompagnati (MNSA) in Italia”, al 31 dicembre, pubblicato sul sito del Ministero del Lavoro.

Il dato relativo ai minori che risultano irreperibili è diventato particolarmente significativo:  per 6.135 minori, infatti, è stato segnalato al Ministero del lavoro un allontanamento dalla struttura di accoglienza. Il fenomeno, in crescita rispetto agli anni precedenti (erano il 23% nel 2014), è riscontato soprattutto tra i giovani egiziani, eritrei e somali. L’agenzia di intelligence europea Europol ha recentemente denunciato la scomparsa di almeno 10mila minori non accompagnati dopo il loro arrivo in Europa, segnalando in particolare il caso italiano e gli oltre 1.000 irreperibili in Svezia; molti di loro si teme siano caduti nelle mani di organizzazioni criminali di trafficanti, altri potrebbero aver raggiunto i familiari in altri paesi europei. Per la maggior parte, invece, si tratta di ragazzi che entrano con specifici progetti migratori, con aspettative familiari nei paesi di origine ben precise e con reti parentali e di riferimento molto forti, che non hanno fiducia nella possibilità di raggiungere le loro mete di destinazione con i canali previsti dalle norme, e pertanto, intraprendono il viaggio in modo illegale.

L’Italia è al terzo posto in Europa per domande di protezione internazionale presentate dai minori non accompagnati. Ai minori rilevati dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali si aggiungono i minori non accompagnati, in fuga da persecuzioni torture o guerre, che accedono al percorso della protezione internazionale: nel 2015 in Italia sono state presentate 3.790 domande di protezione internazionale da parte di minori stranieri non accompagnati (dati Ministero dell’Interno), oltre il 50% in più rispetto alle 2.505 domande del 2014, anno a partire dal quale si ha avuto un incremento significativo (erano 805 le domande presentate nel 2013). Sono soprattutto i giovani gambiani a richiedere protezione internazionale nel nostro Paese (oltre un terzo delle domande), seguiti dai minori del Senegal (12%), della Nigeria (12%) e del Bangladesh (10%). L’Italia è al terzo posto in Europa per numero di domande presentate da minori non accompagnati: nel 2014 nei 28 Paesi membri tali richieste hanno superato le 23mila unità (l’82% in più rispetto all’anno precedente), di cui la metà in Svezia e Germania (rispettivamente 7mila e 4.400), e il 10% in Italia.


Campo profughi siriani in Giordania
Se per gli adulti l’emigrazione, o meglio l’esodo, di questi ultimi 25 anni è una tragedia, non c’è fine all’orrore dei bambini che tentano disperatamente di entrare in Europa attraverso il Mediterraneo o attraverso il corridoio Baltico. Viaggi della disperazione che durano anni, costellati di violenze, detenzioni e lavori per pagare i trafficanti.  Tutti quelli che salgono sui barconi rischiano la vita e molti annegano, quando la barca si rovescia.
Ci si chiede perché i migranti si mettono in viaggio, pur sapendolo carico di pericoli. Eppure, nonostante tutte le difficoltà, spesso mortali, il numero di migranti che riesce a raggiungere la costa continua ad aumentare. Le cause delle migrazioni sono storicamente dettate dalla legge della sopravvivenza. Si emigra per sfuggire alle guerre, alle persecuzioni politiche e religiose,  per causa dei disastri ambientali come le inondazioni, la siccità, l’insufficienza di terra coltivabile. Oggi, come migliaia di anni fa, si emigra per sopravvivere e per cercare un futuro migliore per i figli. Non sono i muri o il filo spinato che fermano chi è costretto a partire da una città in macerie per un altrove ignoto e forse ostile. Dover partire con chi, e chi lasciando a casa? Abbracciare i vecchi padri e le madri, sapendo che non li rivedrai. E il resto, poi: lasciare senza voltarsi indietro la casa in cui si è nati, tutti i ricordi  e un cane, magari che, fedele e ostinato, continua a seguirti.
 Sono tanti, troppi i casi in cui l’infanzia è ferita, offesa, ma quella dei bambini migranti, che annegano nell’indifferenza e ostilità della nostra vecchia Europa, ripiegata sull’illusoria difesa delle sue sicurezze, segna le nostre coscienze.
In una notte d’inverno come questa, pensiamo: se toccasse a noi. Noi delle case calde non sappiamo immaginare, o misurare fino in fondo la massa di paura e dolore che preme alle nostre porte.
E piove più forte, e noi a quest’ora serriamo le persiane delle nostre case, chiudendo fuori il buio e il freddo dalle nostre stanze illuminate e riscaldate. Ma il pensiero di queste due realtà in conflitto è un oscuro presagio - come due fronti di nubi nere che si avvicinino, spinte dal vento, gravide di tempesta. Solo la compassione, la carità e la misericordia ci possono salvare: noi al caldo e quei bambini che bussano e sperano.








lunedì 10 febbraio 2014

In Francia si fa festa, in Veneto si fanno ordinanze ridicole

http://www.mp2013.fr/transhumance/   
In Francia si fa festa, in Veneto si fanno ordinanze ridicole

Zona artigianale paralizzata da un gregge?  A creare inquinamento di San Giorgio in Bosco non sono le pecore, ma le macchine che transitano sulla Valsugana - l'attuale amministrazione ha bocciato la tangenziale e  la rotatoria al semaforo - perché non fa un'ordinanza sulla paralisi della Valsugana?- sono ben altri i problemi di San Giorgio in Bosco - siamo seri!

Non sono contro le greggi, ma contro l'assenza di regole -  allora proponi le regole se ne sei capace

Art. 184 del Decreto Legislativo n. 285 del 30.04.1992 (Nuovo Codice della Strada) Qualcuno riesce a guidare un gregge, diviso a gruppi non superiori a 50, che lascia libero sulla sinistra almeno la metà della carreggiata?

E un gregge che deve transitare tra le ore 23,00 e le ore 6,00, come ordina l'ordinanza, preceduto da un guardiano e seguito da un altro, che tengono acceso un dispositivo di segnalazione con luce arancione, sempre diviso a gruppi di 50 capi?

Art. 54 del Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267  (T.U.E.L.) Siamo sicuri che l'ordinanza del sindaco sia contingibile e urgente al fine di prevenire e eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana? Quali sono i "gravi pericoli"?

La pastorizia è una tradizione antichissima e risale all'epoca romana.

Deliberazione della Giunta Regionale Veneta n.  1002 del 05 giugno 2012 Il provvedimento prevede, saggiamente, una semplificazione nel rilascio delle autorizzazioni per il pascolo vagante, sostituendo la comunicazione al sindaco con una comunicazione alla Azienda ULSS di competenza.

La transumanza è piuttosto un "Uso Civico" e, come tale, è inalienabile, inusucapibile e imprescrittibile:

 Usi Civici nel Veneto:

L'uso civico è un diritto che spetta ai componenti di una collettività delimitata territorialmente di godere di terreni o beni immobili appartenenti alla collettività medesima (in modo indiviso) ovvero a terzi (privati).

Il diritto si esplica tramite l'esercizio di usi finalizzati a soddisfare i bisogni essenziali della collettività.

I diritti di godimento più diffusi riguardano l'esercizio del pascolo e del legnatico. Altri diritti storicamente esercitati erano ad esempio la semina, il vagantivo (consistente nel diritto di vagare per terreni paludosi al fine di raccogliere canne, erbe e paglie, nonché di cacciare e pescare), lo stramatico (consistente nel diritto di raccogliere erba secca e foglie per la lettiera degli animali).

I beni di uso civico sono inalienabili, inusucapibili e soggetti al vincolo di destinazione agro-silvo-pastorale; il diritto di esercizio degli usi civici è imprescrittibile.


Se l'Assessore Regionale Franco Manzato ha detto:

"(AVN) – Venezia, 19 febbraio 2013

Creare veri e propri “corridoi verdi” per garantire nel territorio la transumanza di pecore e capre, accompagnando un settore antico che resiste alla modernità e che anzi è foriero di innovazione e persino di nuova occupazione, soprattutto nelle zone montane. E’ la proposta dell’assessore regionale all’agricoltura per agevolare la pastorizia, una attività agricola che di fatto è stata la prima dell’umanità, che l’ha sfamata e che anche oggi ha una sua ragione di essere, come tradizione ma anche come economia. Il principale nemico delle greggi è oggi la cementificazione del territorio, unita alla burocrazia – ha ricordato l’assessore – fattori che spesso ostacolano o impediscono il transito dalla pianura all’alpe delle greggi, che in questo modo possono nutrirsi di mangimi naturali secondo una pratica che asseconda il ritmo di vita di questi pacifici animali. La pastorizia è un’alternativa ai tradizionali allevamenti confinati e intensivi e dovrebbe essere per questo incentivata, anche a fronte di persone che abbandonano altre promettenti attività per dedicarvisi. Asfalto, barriere e altri ostacoli fisici o amministrativi contrastano i tradizionali percorsi, per lo più lungo i corsi d’acqua, costringendo i pastori a “tappe motorizzate” laddove invece abbiamo il dovere di tutelare la naturalità in un settore che offre produzioni golose e apprezzatissime dai buongustai e dai turisti.

In Veneto si contano circa 60 pastori che compiono le lunghe traversate di terra, provenienti in parte dal Veneto e dal Trentino Alto Adige, ai quali si aggiungono altre decine di operatori del settore che compiono tratti più brevi. Il patrimonio zootecnico è costituito da oltre 55 mila pecore e quasi 17 mila capre, per un totale di poco meno di 72 mila capi: una frazione inferiore all’uno per cento del totale italiano (oltre 9 milioni di capi), ma non per questo non meritevole di attenzione.",

Mettiamo le parti attorno ad un tavolo e finiamola con le buffonate illegittime di quei piccoli despoti dei sindaci.