giovedì 21 dicembre 2017


DON  LORENZO  MILANI

Biografia

Don Lorenzo nasce a Firenze il 27 maggio 1923 in una colta famiglia borghese. E’ figlio di Albano Milani e di Alice Weiss, quest’ultima di origine israelita.

Nel 1930 da Firenze la famiglia si trasferì a Milano dove don Lorenzo fece gli studi fino alla maturità classica. Dall’estate del 1941 Lorenzo si dedicò alla pittura iscrivendosi dopo qualche mese di studio privato all’Accademia di Brera.

Nell’ottobre del 1942, causa la guerra, la famiglia Milani ritornò a Firenze. Sembra che anche l’interesse per la pittura sacra abbia contribuito a far approfondire a Lorenzo la conoscenza del Vangelo.

In questo periodo incontro don Raffaello Bensi, un autorevole sacerdote fiorentino che fu da allora fino alla morte il suo direttore spirituale.

Nel novembre del 1943 entrò in Seminario Maggiore di Firenze. Il 13 luglio 1947 fu ordinato prete e mandato in modo provvisorio a Montespertoli ad aiutare per un breve periodo il proposto don Bonanni e poi, nell’ottobre 1947 a San Donato di Calenzano (FI), cappellano del vecchio proposto don Pugi.

A San Donato fondò una scuola popolare serale per i giovani operai e contadini della sua parrocchia.

Il 14 novembre 1954 don Pugi moriva e don Lorenzo fu nominato priore di Barbiana, una piccola parrocchia di montagna. Arrivò a Barbiana il 7 dicembre 1954. Dopo pochi giorni cominciò a radunare i giovani della nuova parrocchia in canonica con una scuola popolare simile a quella di San Donato. Il pomeriggio faceva invece doposcuola a in canonica ai ragazzi della scuola elementare statale.

Nel 1956 rinunciò alla scuola serale per i giovani del popolo e organizzò per i primi sei ragazzi che avevano finito le elementari una scuola di avviamento industriale.

Nel maggio del 1958 dette alle stampe Esperienze pastorali iniziato otto anni prima a San Donato.

Nel dicembre dello stesso anno il libro fu ritirato dal commercio per disposizione del Sant’Uffizio, perchè ritenuta “inopportuna” la lettura.

Nel dicembre del 1960 fu colpito dai primi sintomi del male (linfogranuloma) che sette anni dopo lo portò alla morte,

Il primo ottobre 1964 insieme a don Borghi scrisse una lettera a tutti i sacerdoti della Diocesi di Firenze a seguito della rimozione da parte del Cardinale Florit del Rettore del Seminario Mons. Bonanni.

Nel febbraio del 1965 scrisse una lettera aperta ad un gruppo di cappellani militari toscani, che in un loro comunicato avevano definito l’obiezione di coscienza “estranea al Comandamento cristiano dell’amore e espressione di viltà”. La lettera fu incriminata e don Lorenzo rinviato a giudizio per apologia di reato.

Al processo, che si svolse a Roma, non poté essere presente a causa della sua grave malattia. Inviò allora ai giudici un’autodifesa scritta. Il 15 febbraio 1966, il processo in prima istanza si concluse con l’assoluzione, ma su ricorso del pubblico ministero, la Corte d’Appello quando don Lorenzo era già morto modificava la sentenza di primo grado e condannava lo scritto. Nel luglio 1966 insieme ai ragazzi della scuola di Barbiana iniziò la stesura di Lettera a una professoressa.

Don Lorenzo moriva a Firenze il 26 giugno 1967 a 44 anni.

 

 

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Un cammello è passato dalla cruna dell’ago

 

Barbiana è una minuscola frazione di Vicchio, nel Mugello. Una chiesetta incastonata fra una casa e un annesso rustico, un pergolato, qualche cipresso, i resti di una minuscola piscina (l’oceano di Barbiana), un piccolo cimitero, non c’è altro. Non negozi, né bar, né edicole, né piazze. I quattro chilometri di strada, in salita per arrivarci a piedi, sono faticosi da fare con il caldo, ma la corriera non può passare per una strada troppo stretta.  Ho voluto ritornarci quest’anno per i 50 anni della morte di Don Lorenzo Milani. Ci ha accolto Agostino Burberi, uno dei primi sei ragazzi di Barbiana, come nel 2008 ci accolse Michele Gesualdi, anche lui uno dei primi

Mi è venuto in mente “Cristo si è fermato a Eboli” di Carlo Levi, esiliato in un paesino isolato in Lucania, che nonostante la durezza del confino, l’autore aveva imparato ad amare. A Barbiana Don Milani, anziché abbattersi per l’esilio, crea una scuola alternativa, il cui sistema educativo basato sul possesso della lingua, elemento fondamentale per rendere i ragazzi cittadini consapevoli capaci di lottare contro le ingiustizie sociali.

Quando don Lorenzo ci arrivò, nel 1954, in una giornata di pioggia, non c'era la strada, non c'era la luce, non c'era l'acqua. Nella parrocchia, che doveva essere chiusa, vivevano una manciata di famiglie sparse tra i monti. Egli andò di famiglia in famiglia a convincere i genitori a mandare i loro figli, spesso emarginati o bocciati dalla scuola tradizionale, oppure senza possibilità di proseguire gli studi dopo le medie, a lezione da lui.  Una scuola per gli ultimi, perché “ la scuola ha un problema solo: i ragazzi che perde”, scriveva Don Milani, “quando avete buttato nel mondo d’oggi un ragazzo senza istruzione, avete buttato in cielo un passerotto senza ali”. I ragazzi alla scuola di Barbiana avevano dai 6 ai 18 anni e i più grandi insegnavano ai più piccoli. Questo formava in loro un senso di comunità, il collante sociale e il sostegno all’insegnamento di don Milani. 365 giorni di scuola all’anno, 366 negli anni bisestili, 12 ore al giorno, perché Don Milani aveva intuito che non si poteva combattere la povertà materiale senza una formazione delle coscienze, senza un’educazione alla ricerca. Le stanze della parrocchia furono trasformate in scuola. Una porta dell’aula conduce all’officina, dove ancora oggi vi sono, come allora, gli arnesi per imparare una professione. Un sacerdote in una scuola laica, le lingue per aprirsi al mondo.  C’era un grammofono che gracchiava per l’intero giorno in tedesco, perché don Milani voleva che imparassero la pronuncia per conoscere le lingue. Mandava in suoi studenti all’estero per conoscere le lingue. “Prima l’italiano perché sennò non si riesce a imparare nemmeno le lingue straniere. Poi più lingue possibili, perché al mondo non ci siamo soltanto noi”, scrivevano gli studenti nella “Lettera a una professoressa”,  un testo di denuncia delle disuguaglianze scolastiche,  che è stato molto popolare durante contestazione  studentesca del 1968.

A Barbiana dove pure il priore era severo ed esigente, era sempre l’alunno che fa più fatica a dettare il ritmo di marcia.  Solo così la scuola diventa la base di una società prosperosa che include e valorizza i più fragili, così come la tenuta di un ponte dipende da tutti i piloni e non solo da pochi di loro. “Se si perde loro – scrive Don Milani nella Lettera a una professoressa  –“ la scuola non è più scuola. E’ un ospedale che cura i sani e respinge i malati”. “Imparare a imparare”, perché non si smetta mai di imparare e perché si deve avere il gusto di conoscere e di essere curiosi.

Nell’aula di studio, oltre alle carte geografiche realizzate a mano, i grafici che sostituivano i libri,  è ancora presente un cartello: I CARE, è il motto intraducibile dei giovani americani migliori, me ne importa, mi prendo cura, mi sta a cuore. È il contrario esatto del motto fascista ME NE FREGO. L’amore di Don Lorenzo Milani per i suoi ragazzi fu senza misura, tanto che arrivò a scrivere  nel suo testamento: ” ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto al suo conto”.

Michele Gesualdi nel suo libro Don Lorenzo Milani, l’esilio di Barbiana scrive: “chi non ha vissuto quegli anni di Barbiana, non afferra come quel prete isolato in un paese poverissimo, sia riuscito a parlare, con quella forza, al mondo intero.” E ancora: “Don Milani è un prete scomodo, ha una grande fame di verità e una grande sete di giustizia.  Spende il suo sacerdozio per armare la povera gente di dignità e di parola perché si ribellino contro le ingiustizie sociali che offendono l’umanità. La sua guida è il Vangelo.” Don Milani aveva scelto da che parte stare, si era schierato dalla parte dei poveri e degli emarginati.

Come ha scritto don Luigi Ciotti  nella postfazione al libro “Don Lorenzo Milani-L’esilio di Barbiana”, di Michele Gesualdi: “Michele Gesualdi, alla fine del libro, mette in guardia dal rischio di una memoria deferente, o peggio di strumentalizzazione dell’eredità intellettuale di don Milani. Don Milani non va celebrato, ma vissuto”.  E riguardo al famoso passo della Lettera ai cappellani militari, anticipatore dell’obiezione di coscienza e della Dottrina Sociale della Chiesa,  dell’obbedienza che non è più una virtù, non deve essere interpretato come un generico invito alla ribellione, ma come un’esortazione a seguire la voce della propria coscienza, che non è mai accomodante, che sempre ci chiama a quelle responsabilità che proprio il conformismo e l’obbedienza acritica permettono di eludere”.  

La Chiesa dei tempi di Don Milani non volle raccogliere la sua eredità, anzi lo osteggiò in tutti i modi, mentre fu molto apprezzato fuori dalla Chiesa. Don Milani non è stato un cattolico contestatore, come quelli degli anni Sessanta, né un prete anarchico o comunista, semplicemente faceva scuola a sé. Egli si era dimostrato profetico nel leggere le tendenze della storia, nel vedere con chiarezza l’amplificazione dello squilibrio  tra i pochi borghesi ricchi, che usavano la lingua ufficiale italiana e i poveri, in numero crescente, che non potevano capirla; tra il capitale con i suoi giochi e chi da questi giochi è tagliato fuori. In Esperienze pastorali, dove prende le distanze dal ruolo dei parroci, indicando lo studio e non lo vago nell’intrattenimento dei giovani negli oratori, Don Milani avrebbe voluto una Chiesa che “avesse fame e sete di giustizia”.

Don Milani aveva scritto più volte al suo vescovo: “se lei non mi onora oggi con un qualsiasi atto solenne, tutto il mio apostolato apparirà come un fatto privato…”. A 50 anni dalla morte, il 20 giugno 2017, Papa Francesco ha voluto finalmente dare quella risposta, riconoscendo in Don Milani la sua fedeltà al Vangelo e la rettitudine della sua azione pastorale. Papa Francesco ha sottolineato l’attualità di Don Milani: “Questo vale a suo modo anche per i nostri tempi, in cui solo possedere la parola può permettere di discernere tra i tanti e spesso confusi messaggi che ci piovono addosso”. Il papa ha parlato esplicitamente di “umanizzazione”, facendo riferimento ad un concetto milaniano: “la parola ai poveri non per farli diventare più ricchi, ma per farli diventare più uomini”. Non per caso c’è più di Esperienze pastorali, sotteso al discorso di Don Milani a Barbiana, di quanto non ci sia in Lettera ad una professoressa.



Dopo 50 anni Papa Francesco fa della pietra di scarto, la pietra d’angolo, indicandolo ai sacerdoti come esempio: “Prendete la fiaccola e portatela avanti”.

                                                                                                                       

                                                                                                                          Leopoldo Marcolongo

 

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