martedì 23 marzo 2010

I reati sono diminuiti, ma la percezione dell’insicurezza è aumentata

Comitato Ordine pubblico e Sicurezza-Tombolo 10 gennaio 2008
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Lì, 31 dicembre 2007
Prot. N. 17587 via Fax

OGGETTO: Riunione Comitato per l’Ordine e la Sicurezza


Per trovare una linea comune nel modo di affrontare le non facili sfide che ci pone la moderna criminalità, per fare una attenta analisi e trovare, tutti insieme, soluzioni concrete, Ti invito a convocare con urgenza il Comitato per l’Ordine e la Sicurezza della nostra zona nella sede naturale di Cittadella.

Sarà anche un modo per chiedere, con forza, che lo Stato sia più vicino ai suoi Sindaci e l’occasione per rendere omaggio alla Costituzione che, grazie alla saggezza dei nostri Padri Costituenti, da 60 anni garantisce a tutti la libertà e la convivenza civile

Cordiali saluti.


Il Sindaco
Leopoldo Marcolongo


Egr. Sig.
Massimo Bitonci
Comune Cittadella
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e.p.c. ai Sigg. Sindaci:

Massimo Ramina-Campodoro
Luigi Bernardi-Campo San Martino
Gino Carolo-Carmignano di Brenta
Marcello Costa-Curtarolo
Marcello Mezzasalma-Fontaniva
Silvano Sabbadin-Galliera Veneta
Loredana Pianazzola-Gazzo Padovano
Sergio Acqua-Grantorto
Renato Marcon-Piazzola Sul Brenta
Giovanni Baggio-San Martino di Lupari
Tiziano Zampieron-San Pietro in Gù
Franco Zorzo-Tombolo
Beatrice Piovan-Villafranca Padovana
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Dall’ultimo Comitato di qualche anno fa, qualcosa è cambiato. I reati sono diminuiti, ma la percezione dell’insicurezza è aumentata.

IL BUIO "AL DI QUA" DELLA SIEPE Franca Zambonini –Famiglia Cristiana n. 40/2007

Ormai la paura è nostra compagna di strada. Il bisogno di sicurezza è una esigenza primaria. Sono diminuiti gli omicidi. Crescono i furti e le rapine, il consumo di droga, la violenza sulle donne. L’autodifesa può diventare un pericolo. Ma qualcuno dovrà proteggerci.

Questo dialoghetto mi ha fatto ricordare Il buio oltre la siepe, titolo italiano di un romanzo di Harper Lee, l’americana che ha scritto solo questo libro, ma bellissimo; nell’originale si chiama To Kill a Mockingbird, neè stato tratto un film ugualmente piacevole con Gregory Peck nella parte dell’avvocato, padre di due bambini, che dà prova di gran coraggio nell’Alabama dei conflitti razziali. Il buio oltre la siepe era la paura dell’ignoto, di quello che sta "oltre". Ma ora il buio è arrivato al di qua della siepe. Ed è l’insicurezza in cui viviamo.

La domanda di sicurezza rappresenta una voce primaria per una decente qualità della vita. Non c’è sistema d’allarme capace di difendere dai furti le nostre case. Non bastano cancelli e inferriate per blindare le villette fuori città; l’isolamento nelle campagne è illusorio quanto l’affollamento cittadino. Non esiste protezione contro le aggressioni, le rapine, gli scippi, e va bene quando ci si rimette solo il portafogli, senza danni fisici. «Ma perché mi hanno anche picchiato?», lamentava il regista Giuseppe Tornatore, aggredito da tre manigoldi sull’Aventino, un tempo tranquillo quartiere romano: «Mi avevano già derubato, che senso avevano le botte?», e non c’è risposta.
Al bisogno di sicurezza corrisponde il fai-da-te della difesa. Le pistole in casa contro ladri eventuali, le ronde notturne volontarie, gli assalti ai campi nomadi o alle baracche degli immigrati, i pittoreschi sindaci-sceriffi e altre cosiddette contromisure rappresentano una cultura che non ci appartiene, semina altra violenza, aggiunge pericolo a pericolo.
Secondo i dati del Rapporto sulla criminalità in Italia, presentato a giugno dal ministro dell’Interno Giuliano Amato, sono in calo gli omicidi, in crescita i furti e le rapine, soprattutto nel Nord, dove arrivano immigrati clandestini anche "mordi e fuggi" dall’Est d’Europa.
Impressiona la corsa al consumo di droga (cinque tonnellate sequestrate l’anno scorso, più cocaina che eroina), strada maestra del crimine. E "sconvolge", questa è la parola usata dal ministro, il capitolo della violenza sulle donne, non solo sessuale: aumentano lesioni e maltrattamenti, il 62 per cento commessi dal partner.
Non si vive bene con la paura come compagna di strada. E siamo contrari agli improvvisati sistemi di autodifesa. Ma alla domanda di Tornatore: «Perché anche le botte?», occorre che chi ha il compito istituzionale di difenderci trovi una risposta. E in fretta, prima che l’Italia diventi il Far West.
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L’utopia del sindaco-sceriffo - Gian Valerio Lombardi-Prefetto di Milano

In questi giorni è tornata di attualità la questione della sicurezza e di un possibile ulteriore ruolo delle polizie locali. Sono convinto che un apporto più incisivo della polizia locale può essere utile.
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Taluni esponenti politici locali – per rafforzare tale indicazione (sindaci sceriffi) – fanno talora riferimento all’esperienza del sindaco di New York che a suo tempo ha ottenuto, ma per un breve periodo, buoni risultati con la “tolleranza zero” (che non sarebbe male introdurre almeno in parte nelle leggi anche da noi) (In questi giorni Giuliani è candidato alla Casa Bianca, ma senza grandi successi). Chi propone tale opzione non considera però la diversa grandezza dell’Italia rispetto agli USA: negli Stati Uniti esiste una polizia federale che persegue reati federali e una polizia locale che persegue reati locali, ferma restando la sovraordinazione dela stessa polizia federale. E poi lo Stato di New York ha 18 milioni di abitanti pari a poco meno di un terzo dell’intera Italia. Lì è logio avere una polizia “locale” perché New York non è solo una città ma un vero e proprio Stato. L’azione penale negli Stati Uniti è affidata alla magistratura elettiva. Lì ha un senso coinvolgere il sindaco nella gestione della polizia locale.Del resto la vastità del territorio e le differenze fra i singoli Stati giustificano il doppio livello delle polizie, federale e locale. Ma in Italia con un territorio trenta volte più piccolo e che è meno della metà del solo Texas, sarebbe lo stesso? Non credo proprio. E’ un segno della nostra mentalità provinciale chiedere, da parte del livello locale, sempre nuovi poteri (peraltro senza esercitare sempre quelli che si hanno!) quasi che la gestione locale sia, per magia, il rimedio a tutti i problemi. Purtroppo l’esperienza sembra dimostrare il contrario.
Ma poi sarebbe così vantaggioso per il nostro Paese un simile sistema? Con ottomila Comuni avremmo ottomila sindaci, appartenenti a partiti diversi, i quali – pur se per motivi comprensibili – avrebbero ottomila modi differenti di gestire la sicurezza. Lo Stato, interlocutore comunque insopprimibile – che già fa fatica a coordinare cinque polizie – ne dovrebbe raccordare migliaia, con una dispersione che da noi si tradurrebbe certamente in una più scarsa efficacia dell’attività di sicurezza. Verrebbe così depotenziata ineludibilmente la sicurezza generale e lo Stato o dovrebbe abdicare a una sua funzione (che peraltro l’attuale Costituzione gli affida in via esclusiva) oppure non potrebbe rispettare il proprio contratto sociale.
Le autorità elettive locali con i tanti problemi da risolvere, non potrebbero applicarsi con la necessaria continuità al settore della pubblica sicurezza. Si acuirebbero, con i contrasti politici locali, le diversità e si creerebbero certamente problemi di coordinamento generale, in un Paese in cui la cultura del concerto e della condivisione – fondamento di ogni vero federalismo – non sembra ancora particolarmente sviluppata. Cittadini, dal canto loro, farebbero a gara nel chiedere polizie sempre più severe per allontanare da sé gli emarginati e i governanti locali sarebbero costretti ad assecondarli, per non perdere il consenso elettorale.
Si realizzerebbe l’esatto contrario di quello che deve essere un sistema equilibrato, efficace e strategico. In realtà l’apporto di Regioni ed Enti Locali nel campo della sicurezza può rivelarsi prezioso se fornito alle autorità dello Stato a ciò preposte, nell’ottica della leale collaborazione. Non è possibile – come talora accade da noi – che parti dello stesso sistema, spesso chiamate a collaborare, si critichino fra loro solo per la diversa appartenenza politica! Una cosa è la politica, altra la gestione. In questo momento poi scegliere un federalismo della sicurezza, in un Paese come il nostro, sempre più soggetto – per l’appartenenza all’Unione europea – alle regole comuni, è una contraddizione, nonché una scelta che mi sembra sbagliata.
In realtà, ciò che non funziona nella sicurezza del nostra Paese non è il lavoro delle forze dell’ordine (che operano in condizioni difficili e con grande impegno) ma la mancanza di certezza della pena*. Chi commette reati o azioni contro la sicurezza e il decoro urbano sa che sostanzialmente non subisce alcuna conseguenza per il proprio comportamento. Con gli attuali strumenti perciò non sarebbe certo l’affidamento delle funzioni al sindaco a garantire meglio la sicurezza. Anzi. E’ lecito pensare che la situazione peggiorerebbe e non poco a causa della inevitabile frantumazione degli interventi sul territorio, per le differenti valutazioni politiche e per la mancanza di una specifica professionalità.
La polizia di sicurezza – in quanto attività amministrativa d’ordine – richiede sicuramente unicità di strategia di comando e di responsabilità. Polverizzarla in ottomila rivoli sarebbe un grave e imperdonabile errore. Adeguati strumenti di intervento, più certezza della pena e unicità di direzione in un quadro di generale collaborazione, sono gli ingredienti necessari per una buona ricetta della “sicurezza”! Maccchiavelli, un grande maestro dell’arte di governare, nei discorsi (III,16), diceva che è rovina per gli Stati “….mandare né luoghi, per amministrarli meglio, più d’uno commissario e più d’uno capo.”. Figurarsi se il discorso non valga per la sicurezza.
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* Quando parliamo di certezza della pena, anche se non è questa la sede, ricordo che da dati
Espresso n. 1/2008, risultano ospiti delle patrie galere

• 60.710 detenuti a luglio 2006
• 26.722 detenuti beneficiari dell’indulto
• 6.048 riarrestati
• 45.024 ddetenuti al 05.09.2007


• 49.193 detenuti
• 29.137 imputati
• 18.569 condannati
• 1.487 internati ospedali psichiatrici giudiziari
• 37% extracomunitari da 144 paesi

Se non modifichiamo il sistema di sconto della pena, qualsiasi Governo, dovrà fare presto un nuovo indulto per sfoltire le carceri, che si stanno avvicinando nuovamente al collasso.

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Se quindi il cortocircuito di improbabili e pioneristiche esperienze del caso Cittadella, non offre alcuna soluzione, viene da pensare che il problema non era quello dell’iscrizione anagrafica. L’iscrizione anagrafica è soggetta a regole molto rigide, che tutti i Comuni applicano già, ma i delinquenti, di solito non la chiedono. Se invece consideriamo l’ordinanza di Cittadella solo come una provocazione politica per stimolare il legislatore a migliorare la Legge, va presa per quanto tale.
Ma, se il problema non è l’iscrizione all’anagrafe dei cittadini extracomunitari e neocomunitari, è un problema di ordine pubblico. E se parliamo di ordine pubblico, allora non servono ordinanze, servono Leggi e coordinamento dei Sindaci nel territorio:

- Servono il Prefetto, i Carabinieri, la Polizia. Serve il potenziamento delle loro strutture e il controllo del territorio.
- Serve la collaborazione dei sindaci e il coordinamento dei Vigili urbani con le Forze dell’Ordine, ognuno nell’ambito delle proprie competenze (i vigili fanno i vigili, la Protezione Civile fa quello che è il suo compito, e così via)
- Periodicamente serve la riunione del Comitato per l’Ordine e la Sicurezza.
- Servono soldi per impianti di allarme e videosorveglianza (San Giorgio ha stanziato 55.000 euro, ma per accedere ai contributo regionali bisogna mettere insieme almeno 20.000 abitanti), migliore illuminazione e arredamento delle aree pubbliche, riqualificazione delle aree degradate
- Il Comune di San Giorgio in Bosco mette a disposizione un fabbricato per fare una caserma
- Serve la chiusura dei locali pubblici a orari uguali per evitare il pericolo del pendolarismo
- Ma bisogna anche unire politiche d’integrazione e solidarietà a quelle di contrasto alla delinquenza.
- Serve la collaborazione dei nostri cittadini e una cultura della legalità in ogni settore.
- Corsi di lingua italiana e educazione civica per extracomunitari e neocomunitari, come quelli che abbiamo fatto a San Giorgio con grande entusiasmo
- Dare lavoro nei Comuni ai carcerati in esecuzione penale esterna-art. 21-L’ass.Reg. Valdegamberi ha stanziato su una mia richiesta, come delegato ANCI, 50.000 euro per un progetto di sensibilizzazione rivolto ai Comuni
- Serve una scuola che promuova l’integrazione e non chiuda la porta in faccia agli studenti stranieri, perché è nelle scuole che si diventa nuovi cittadini-sui giornali di oggi è scoppiato il caso Pordenone dove i genitori iscrivono i figli alle scuole private perché le pubbliche hanno troppi extracomunitari
- Se gli imprenditori veneti chiedono 20.000 nuovi ingressi al posto dei 14.000 previsti, dobbiamo capire che, piaccia o non piaccia, l’immigrazione è un fenomeno destinato ad aumentare, pena la chiusura delle aziende e anche delle nostre famiglie (badanti).
- E’ meglio regolarizzare gli stranieri che lavorano e che hanno un alloggio, piuttosto che mandarli a ingrossare le file della malavita
- Serve cioè, non amplificare la paura, ma piuttosto a governarla.
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Leopoldo Marcolongo-sindaco di San Giorgio in Bosco

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