giovedì 11 marzo 2010

Monongah 1907-una tragedia dimenticata





Il Gazzettino Venerdì 7 Dicembre 2007 Edizione Nazionale

Caro Gazzettino,
il 6 dicembre di cento anni fa accadeva la più grave tragedia del lavoro che abbia mai coinvolto Italiani all'estero. Una grande esplosione all'interno della miniera di Monongah (West Virginia - Usa), fece crollare le gallerie e uccise tutti i minatori al lavoro, tranne uno. Tra le 361 vittime ufficiali, (americani, americani di colore, austriaci, ungheresi, russi e turchi), si contarono 171 minatori italiani. Erano originari in gran parte dei paesi del Mezzogiorno d'Italia, e tra tutti gli altri, venivano costretti dai "bossi" (i capi) ai lavori più duri e pericolosi. In realtà le vittime italiane furono molte di più, ma non fu possibile identificarne i nomi perché gli uffici della miniera non tenevano una registrazione precisa di chi entrava giornalmente nelle gallerie e la devastazione dello scoppio rese impossibile recuperare tutti i corpi. I membri della commissione d'inchiesta allora istituita non si misero d'accordo sulle cause del disastro, ma precisarono che la compagnia mineraria aveva rispettato le norme di sicurezza. E quindi la catastrofe era frutto di casualità o di negligenza dei bambini e adolescenti che aiutavano il minatore. I minatori, infatti, potevano portarsi quattro o cinque aiuti che venivano pagati con una parte del loro salario, senza comunicarne il nome alla compagnia, in base al "buddy sistem". Questo spiega perché il numero effettivo di morti venga stimato in mille persone. Quel 1907 non ci fu Natale a Monongah .
La notizia passò sottotono sui giornali italiani. Nell'elenco ufficiale dei 171 minatori morti a Monongah figura anche un veneto, Victor Davia. Da documentazione in possesso del Museo dell'emigrazione veneta di San Giorgio in Bosco si tratterebbe di Davià (ora Da Vià) Vittorio, nato il 3.10.1866, di Domegge di Cadore (Bl), figlio di Vigilio e di Fedon Maria Luigia, coniugato negli Stati Uniti con l'italiana De Carlo Catterina. Della sua morte non risulta alcun atto presso il Comune di Domegge. Bisognerà ora proseguire le ricerche sui documenti americani.
Questa tragedia è diventata il simbolo della vita faticosa di milioni di persone costrette ad emigrare in un'epoca in cui il bisogno di lavorare contava più dei diritti umani e sociali dei lavoratori. Commemorare "la tragedia dimenticata" è un modo di rendere omaggio anche a tutti gli altri nostri emigrati che in varie parti del mondo e in epoche diverse sono caduti in incidenti del lavoro o sono rimasti vittime di sfruttamento e di violenza xenofoba. Ricordare criticamente la storia del lavoro italiano nel mondo serve, inoltre, anche a noi in Italia che stiamo vivendo la difficile transizione sociale da Paese di esodo a realtà d'accoglienza. Ridare un nome e un volto ai minatori di Monongah ci deve anche portare a un'analoga attenzione verso le condizioni di lavoro dei migranti di oggi, purtroppo principali vittime degli infortuni sul lavoro. I tempi e le situazioni sono diversi, ma il rispetto dei diritti e della solidarietà umana non può essere diverso.

Leopoldo Marcolongo
sindaco di San Giorgio in Bosco - Museo dell'emigrazione Veneta
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Quel veneto di Domegge morto a Monongah in miniera
Cento anni fa. Un passato che abbiamo dimenticato in fretta
Risponde Edoardo Pittalis


Quello che accadde cento anni fa a Monongah , nel West Virginia, fu davvero l'ecatombe degli italiani. Il 6 dicembre 1907 un'esplosione nei cunicoli della Fairmont Coal Company uccise forse un migliaio di persone. Il numero esatto non è mai stato accertato, più di mille pare, certo furono riempite 500 casse di legno. Almeno 171 vittime erano emigrati italiani. Il disastro minerario più grande della storia italiana, più che a Marcinelle nel Belgio, dove nel 1956 morirono 136 italiani. Sono rimaste le pietre tombali di molti di loro e anche tante croci senza nome perché gran parte dei corpi erano irriconoscibili. Lapidi piene di errori e di disperazione che soltanto adesso sono state recuperate. Per la prima volta dopo cent'anni il governo italiano, tramite la Farnesina, ha stanziato 100 mila dollari per i lavori di restauro.
Quei minatori estraevano carbone e ardesia, vivevano in baracche di legno ricoperte di carta catramata, in dieci per stanza, pagavano anche 10 dollari, metà dello stipendio. La Compagnia aveva loro pagato il viaggio, 15 dollari che sottraeva dalle paghe nei primi mesi. Il campo di lavoro era controllato da guardiani armati perché nessuno potesse evadere. Non si fidavano di nessuno, i morti avevano i risparmi arrotolati nella cintura. In un secolo nel West Virginia sono morte nelle miniere 20 mila persone. Oggi non ci sono più le miniere. Le inchieste del 1907 non hanno mai trovato responsabili. Gli italiani erano arrivati dal Molise, dalla Calabria, Abruzzo, Campania. C'era anche un veneto, come con affetto segnala il sindaco di San Giorgio in Bosco che per conservare la memoria della nostra emigrazione sta allestendo un Museo dell'Emigrazione Veneta. Il sindaco padovano fa bene a recuperare la storia di questo veneto di Domegge di Cadore, emigrato negli Usa, e del quale anche il suo paese ha perduto le tracce. Monongah non è soltanto una "tragedia dimenticata", è anche una lezione che viene dal passato per insegnarci a capire il presente: nella storia c'è sempre lo specchio di quello che siamo stati. C'è un passato che molti tendono a dimenticare e che, invece, non va rimosso. Si tratta del nostro passato di emigrati sfruttati, maltrattati, malpagati, insultati e umiliati. Negli Usa ci sono stati lunghi anni in cui gli italiani erano considerati appena sopra i negri. Venivano linciati senza processi; morivano sul lavoro senza che le autorità intervenissero. È vero, da allora sono trascorsi cento anni, ma quello che per noi è stato il Novecento per altri popoli è il Duemila. Oggi come allora sono la disperazione, la fame, la speranza di una vita migliore a muovere milioni di persone da una parte all'altra del mondo. Non si possono confondere i tanti onesti, seri e coraggiosi con la minoranza criminale. I delinquenti vanno giustamente perseguiti ed espulsi, gli altri non c'entrano, non meritano offese e ostentazione di xenofobia. Spesso trattiamo gli altri esattamente come accadeva agli italiani cento anni fa e anche meno. Ridare un volto a Monongah è come dare un volto a noi stessi. È un modo di ricordarci che esistono tanti diritti, ma anche qualche dovere. A incominciare dal rispetto degli altri e dalla solidarietà.

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