giovedì 11 marzo 2010

Sfoltire le carceri per evitare nuovi indulti


Carceri sovraffollate, il fallimento della riabilitazione
il mattino di Padova — 29 agosto 2009 pagina 27 sezione: ALTRE
di Leopoldo Marcolongo *

Ogni comunità per reggersi ha bisogno di leggi, delle quali la giustizia si incarica di garantire il rispetto, punendo i trasgressori. In tal modo il concetto di legge è indissolubilmente legato al concetto di pena, la quale però deve avere in sé il fine primario della riabilitazione (art. 27, terzo comma, della Costituzione della Repubblica Italiana, che recita: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato»). La privazione della libertà mira non all’annientamento del reo, ma al ripristino dei principi che il delitto ha offeso. Questi presupposti trovano un fondamento sull’idea che il colpevole, oltre che pentirsi, possa modificare profondamente la propria personalità, specie se aiutato attraverso un piano di rieducazione. Il pianeta carcere è salito prepotentemente alle cronache in questi ultimi anni per i problemi di sovraffollamento, attualmente peggiore del 2006, prima dell’indulto (quando ne uscirono 27.000), per i suicidi, per la prevalenza dirompente di detenuti stranieri e di detenuti in attesa di giudizio (più della metà). La drammatica emergenza dei numeri: dai 31.000 detenuti del 1991 siamo arrivati quasi ai 64.000 attuali, con 1.000 nuovi arrivi al mese. E’ una realtà che ci sta sfuggendo di mano. L’ attuale sistema sanzionatorio e incentrato sulla pena detentiva come risposta alla violazione della norma penale. Un simile sistema sconta tutta la sua inefficacia. La detenzione è inefficace nel dissuadere dal commettere futuri delitti, mentre l’applicazione di misure alternative al carcere risulta essere decisamente più efficace: i recidivi fra gli affidati al servizio sociale sono pari al 19%, mentre fra coloro che scontano la pena interamente in carcere i recidivi sono il 68 per cento. Una mentalità di «tolleranza zero» e di «insicurezza percepita» di alcuni sindaci, nonostante il ministro dell’Interno abbia affermato che i reati sono in calo, preme sul ricorso al carcere per liberarsi dei cittadini scomodi, togliendoli dal proprio territorio e mandandoli in una «discarica sociale», non rendendosi conto che, scontata la pena, questi ritornano. Il problema è che molti sindaci spesso non conoscono la realtà carceraria, pochi hanno visitato un carcere, molti non sanno neppure dove sia localizzato. Affrontare il problema solo sotto l’aspetto dell’ordine pubblico non sembra sufficiente e anche non conveniente. Considerarlo invece come un problema sociale è più vantaggioso per la collettività. Se non è possibile svuotare quel grande «condominio» della città dove sono ristretti i carcerati perché quelli pericolosi bisogna necessariamente tenerli rinchiusi, almeno si può creare qualche opportunità in più a chi ha sbagliato, ma dimostra con i fatti che può ritornare nella sua comunità, perché nessun uomo nasce delinquente. Un recupero che metta insieme il mondo delle Associazioni, le Cooperative, i Centri Servizi per il Volontariato, il mondo del lavoro, le Istituzioni per ricreare autostima e dignità negli ex-detenuti. Gli enti locali possono contribuire molto al progetto perché la certezza della pena non è incompatibile con il recupero e il reinserimento socio-lavorativo dei detenuti. La previsione di nuove carceri e l’ampliamento di quelle esistenti è solo un bluff e poi mancano già ora guardie carcerarie e personale educativo e neanche il rimpatrio dei carcerati stranieri è una cosa semplice in tempi brevi. Bisogna fare presto a sfoltire le carceri perché la situazione è intollerabile e illegale, altrimenti, voglia o non voglia, bisognerà fare un nuovo «indulto». Le misure alternative sono le seguenti. Affidamento in prova al servizio sociale. Consiste nell’affidamento al servizio sociale del condannato fuori dall’istituto di pena per un periodo uguale a quello della pena da scontare. Semilibertà. Consiste nella concessione al condannato e all’internato di trascorrere parte del giorno fuori dall’istituto di pena per partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale, in base a un programma di trattamento, la cui responsabilità è affidata al direttore dell’istituto di pena. Detenzione domiciliare. Questa misura alternativa consiste nell’esecuzione della pena nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo pubblico di cura, assistenza e accoglienza. Lavoro sostitutivo della pena. Prestazione di attività non retribuita in favore della collettività da svolgere presso lo Stato, Enti locali e Enti del sociale, della cultura, dell’ambiente.
* ex sindaco e rappresentante Anci in Commissione Interistituzionale Area Penitenziaria

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