martedì 23 marzo 2010

Quando noi eravamo gli albanesi


Gazzettino 24.11.2007

I Veneti nel Mondo ci ricordano quando noi eravamo gli albanesi E nei bar della Germania c'era scritto "Vietato a cani e italiani"
di Leopoldo Marcolongo*


La Consulta del Veneti nel Mondo tenutasi ad Asolo (i consultori rappresentano le nostre comunità in Canada, Usa, Brasile, Uruguay, Argentina, Sudafrica, Australia, Svizzera e altri Paesi) ha richiamato con forza l'assemblea a ricordare "quando gli albanesi eravamo noi". A Marcinelle, in Belgio, dove c'erano le miniere in cui mille metri sotto terra e nel fuoco morirono centinaia di italiani e molti venivano dal Triveneto, all'alba degli Anni Cinquanta sulle case scrivevano: "Niente stranieri, niente bambini, niente animali". Bestie e italiani non meritavano casa. Eppure erano necessari, perché senza quegli italiani chiassosi e poveri il Belgio non avrebbe estratto il carbone che ne avrebbe fatto una potenza industriale. Nella Germania degli '60 sulla porta dei bar appendevano un cartello col disegno di un pastore tedesco e la scritta: "Vietato a cani e italiani". Lo stesso cartello in Svizzera nel 1971 sul cancello che portava a un cimitero.
La storia ci ha insegnato pochissimo, non riusciamo neppure a capire che stiamo trattando gli immigrati come siamo stati trattati noi da emigranti 40-50 anni fa. Non ci rendiamo conto che ciò che ci feriva profondamente e ci umiliava, oggi lo ripetiamo senza tenere conto del rispetto degli altri. L'immigrazione è necessaria per la nostra economia, certo va regolata e controllata. Bisogna distinguere tra immigrati e criminali, tra gente che è qui per lavorare onestamente e chi è qui per cercare scorciatoie. Per avere un'immigrazione regolare e rispettosa delle nostre leggi, bisogna che gli immigrati vengano messi nelle condizioni di vivere nel nostro Paese. Il lavoro non basta, ci vogliono una casa, una scuola, l'assistenza sanitaria, il rispetto per la loro cultura e, col tempo, la cittadinanza. Soltanto così si può esigere il rispetto totale delle nostre regole.
L'ordinanza anti-immigrati di Bitonci, ormai chiuso fra le sue mura come ai tempi di Ezzelino, è rozza e populista, incostituzionale, buona al massimo per qualche dittatore del sudamericano. La direttiva 38 del 2004 della Comunità Europea ribadisce "il valore della libera circolazione delle persone quale principio fondamentale dell'Ue", fissando limiti precisi per le espulsioni di cittadini comunitari consentendole sostanzialmente per motivi di ordine pubblico, di sicurezza e sanitari.
San Giorgio in Bosco è invece il paese dell'accoglienza, non disgiunta dalla fermezza della legalità. L'amministrazione ha intensi rapporti con l'Asar (Romania) e il Centro culturale Islamico. I bambini Rom vanno alle elementari, i laboratori cinesi sono sotto controllo, gli immigrati partecipano ai bandi per le case Ater, già 9 brasiliani di origine Veneta hanno ottenuto la cittadinanza italiana " jure sanguinis" direttamente dal Comune, la criminalità è mediamente più bassa dei paesi limitrofi. Questo senza roboanti proclami proclamami, ma con la fatica e il paziente lavoro della nostra comunità.
*sindaco di San Giorgio in Bosco

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