martedì 16 marzo 2010

Seconda generazione perno dell'accoglienza

10 Febbraio 2010 - Il Sole 24 Ore
Seconda generazione perno dell'accoglienza
di Innocenzo Cipolletta


Senza una politica dell'immigrazione, continueremo a considerarla una malattia e questo finirà per accentuare il già forte movimento razzista che sta caratterizzando il nostro paese. Occorre passare dal contrasto alla clandestinità, che è opera della polizia, alla gestione dell'integrazione, che deve essere opera della politica.
Come ci insegnano le esperienze di altri paesi, la clandestinità è un fenomeno transitorio, mentre l'immigrazione è un fenomeno permanente. E la politica deve interessarsi di ciò che è permanente. L'Italia si avvia ad avere una percentuale di immigrati non dissimile a quella degli altri paesi europei. Posto che l'immigrazione data ormai da diversi anni, il fenomeno più rilevante a cui dovremo far fronte è l'integrazione della seconda generazione di immigrati, quelli nati nel nostro paese.
Qualcuno pensa e spera che l'integrazione della seconda generazione sarà più facile, perché costituita da gente che parla l'italiano, conosce le nostre leggi e le nostre abitudini. Niente di più errato. L'integrazione della seconda generazione di immigrati richiede una forte attenzione e misure mirate, per evitare fenomeni di razzismo e tensioni sociali.
La prima generazione di immigrati ha trovato collocazione nei lavori che gli italiani hanno abbandonato e questa è stata una valvola forte per la loro accettazione. Spesso non li vediamo affatto, perché impegnati tutto il giorno nella fabbriche, nelle campagne, nei retro dei ristoranti o nelle abitazioni a badare agli anziani e ai bambini. Ma i figli degli immigrati, la seconda generazione, avranno studiato nelle nostre scuole, avranno imparato la nostra lingua, avranno consapevolezza del loro diritti, aspireranno, giustamente a occupare posizioni sociali ed economiche non diverse da quelle degli italiani di più generazioni.
L'esperienza di altri paesi mostra che questa è la fase più delicata del processo di immigrazione. Se la nostra società saprà accogliere correttamente questi immigrati di seconda generazione, allora il fenomeno dell'immigrazione avrà avuto effetti positivi per tutti. Ma questo esito non è affatto scontato. Oggi il razzismo italiano, che purtroppo c'è, è di natura primaria e si basa sulla paura del diverso e sui miti della criminalità esasperati da taluni politici che giocano sulla paura per prendere voti. Ma domani, con la seconda generazione di immigrati, il razzismo sarà guidato dal timore di perdere il lavoro per opera di una persona più preparata e più motivata, dal rifiuto di abitudini e di costumi che questi nuovi italiani vorranno giustamente praticare senza doversi nascondere come hanno fatto i loro genitori, dalla aspirazione ad avere una abitazione normale in qualsiasi quartiere delle nostre città, dalla pretesa di contare nella vita del loro paese.
Se non sapremo dare una risposta positiva a questi fenomeni, rischiamo di generare ghetti per gli immigrati, dove nascerà criminalità e terrorismo, e di favorire l'emergere di un razzismo puro negli italiani, perché centrato solo sulla differenza di razza, pur di rifiutare loro posizioni e lavori prima riservati agli italiani con un numero maggiore di generazioni alle spalle. E questi fenomeni sono già visibili, dai cori razzisti e dai blog contro il calciatore Mario Balotelli, nato a Palermo da genitori del Ghana, ma cittadino italiano a tutti gli effetti dopo l'affidamento alla famiglia Balotelli, fino ai divieti spesso violenti di padri italiani alle loro figlie di frequentare i figli degli immigrati o al bullismo contro gli immigrati nelle scuole.
Una politica dell'immigrazione passa attraverso una scuola rafforzata, una assistenza sociale assidua, una apertura delle nostre abitudini e normative a quelle degli altri, una disponibilità di abitazioni, un percorso visibile per il diritto al voto e alla cittadinanza. Occorre che l'immigrato e la sua famiglia si sentano parte di una società che ha previsto per loro percorsi di inserimento e processi di accettazione per tutte le diversità che dovranno confrontarsi e convivere.
Ci sono pezzi della società che già operano positivamente in questa direzione. Ma non bisogna che lo stato si limiti ai respingimenti operati dall'esercito e ai controlli interni della polizia. Sarebbe veramente errato, malgrado l'umanità e l'intelligenza delle nostre strutture militari e di polizia.

10 Febbraio 2010
Il Sole 24 Ore

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